martedì 29 marzo 2022

L’ULTIMO CONCERTO DI PHIL COLLINS

È un Phil Collins dolorante e costretto su una sedia quello che ha calcato per l’ultima volta un palcoscenico lo scorso 26 marzo insieme ai Genesis alla 02 Arena di Londra.

(Phil Collins durante il concerto - Credit: La Presse)

 

Come si conclude la carriera musicale di un titano della musica mondiale? Come si dice addio alle scene dopo una carriera lunga oltre cinque decenni?

Phil Collins ha scelto l’ironia e queste parole:«Signore e signori, grazie di essere venuti qui stasera. Noi siamo i Genesis e siamo qui per intrattenervi. Questa è l’ultima data del nostro tour, e a dire il vero, dopo 53 anni anche l’ultimo concerto dei Genesis. Ok suoniamo qualcosa prima che mi vengano gli occhi lucidi».

 

Questo l’esordio dell’ultimo concerto dal vivo alla 02 Arena di Londra, al termine del tour dei Genesis che è stato rimandato per il Covid-19 (i concerti di Londra si sarebbero dovuti tenere nell’ottobre 2021 ndr) e che sabato 26 marzo 2022 ha visto l’ultima apparizione pubblica di Collins e - probabilmente - anche dei Genesis. Con Collins sul palco anche Tony Banks e Mike Rutherford.

 

Phil Collins, che lo scorso 30 gennaio ha compiuto 71 anni, non riesce più a suonare. La sua schiena non lo permette più. Sarebbe stato proprio il suo modo di suonare alla batteria a causare lo schiacciamento di una vertebra. L’artista si è anche sottoposto ad un intervento chirurgico che purtroppo non ha prodotto i benefici sperati. Lo ammette lo stesso Collins: :«Sto male, non riesco più a suonare».

Un peggioramento delle condizioni di salute che forse non era previsto. I fan avranno notato che il tour della band inglese, insieme dopo 14 anni di assenza, era stato chiamato “The last domino?”, con un sibillino punto interrogativo.

 

(La schermata del sito ufficiale dei Genesis con le date del tour inglese. È possibile vedere le date rinviate per l’emergenza sanitaria Covid-19)

 

Pare impossibile, ma in un’intervista rilasciata alla BBC, al termine di una carriera di altissimo livello ha parlato anche della frustrazione per non essere riuscito a esibirsi insieme a suo figlio Nicholas.

 

Finisce così una carriera straordinaria. Prima da batterista dei Genesis per poi (a sentir lui, suo malgrado) cantante della stessa band dopo l’addio di Peter Gabriel nel 1975. Poi solista con canzoni entrate nella storia della musica pop.

I numeri della sua carriera, iniziata nel 1969 e terminata nel 2022, sono impressionanti:

 

- 13 album pubblicati (8 in studio, 2 live e 3 raccolte)

- 1 premio Oscar nel 2000 con “You’ll be in my heart”, colonna sonora del film di animazione della DisneyTarzan

- 8 Grammy Awards

- 2 Golden Globe

- 5 BRIT Awards

- 1 Disney Legends

- 150 milioni di copie vendute nel mondo (33,5 solo negli USA)

 

Tra le canzoni di successo di una carriera, che non ha sempre trovato il favore della critica, troviamo hits del calibro di “In The Air Tonight”, “Against All Odds (Take a Look at Me Now)”  e “One More Night”.

Infinita la lista delle collaborazioni che vedono tra gli altri nomi come i Led Zeppelin, Eric Clapton, Bob Geldof e molti altri.

 

Non ha rinunciato alla sua proverbiale ironia anche nella sua ultima apparizione live, rivolgendosi al pubblico e dicendo che ora sarà costretto a cercarsi “un vero lavoro”.

 

Restano alcuni interrogativi: I Genesis continueranno anche senza Phil Collins? Phil Collins pubblicherà qualche lavoro inedito?

Difficile rispondere. Rimaniamo in attesa, ringraziando un artista che si ferma perché è stato richiamato dal suo corpo a essere un “semplice” uomo.

 

Emmanuele Macaluso

martedì 22 marzo 2022

TORNA IN SCENA IN PIEMONTE IL REQUIEM IN RE minore (K 626) DI WOLFGANG AMADEUS MOZART

Dopo la lunga pausa dovuta al Covid-19, torna in scena il Requiem in Re minore di Wolfgang Amadeus Mozart messo in scena dall’associazione “Gli Amici di Fritz”.

(La locandina dell’evento con l’immagine del Cristo di San Giovanni della Croce di Salvador Dalì)

 

Alcune realtà culturali hanno il grande merito di condividere la cultura sul territorio, avvicinando la grande musica ai luoghi della quotidianità. È il caso dell’associazione “Gli Amici di Fritz”, con sede a Piobesi Torinese, che da anni produce e mette in scena opere e occasioni di avvicinamento alla musica in Italia e all’estero.

Tra le opere: “Il Barbiere di Siviglia”, “La Cenerentola” e “L’Italiana in Algeri” di Gioacchino Rossini, “La serva padrona” di Giovan Battista Pergolesi e altre.

 

Il prossimo 9 aprile alle ore 21, presso la chiesa parrocchiale Natività di Maria Vergine nel pieno centro di Piobesi Torinese (To), si eseguirà un capolavoro di livello assoluto, ultima composizione del genio di Wolfgang Amadeus Mozart: il Requiem in Re minore (K 626).

La composizione non venne ultimata da Mozart a causa della sua morte (5 dicembre 1791). L’amico e allievo Franz Xaver Süssmayr la completò successivamente seguendo alcune indicazioni manoscritte dello stesso Mozart.

 

L’esecuzione presentata a Piobesi Torinese sarà quella nella versione per Coro, Solisti e Pianoforte a 4 mani.

 

Cast artistico:

- Soprano: Yujia Chen

- Mezzosoprano: Martina Baroni

- Tenore: Stefano Gambarino

- Basso: Fulvio Bussano

- Pianoforte: Olga Tarasevich e Andrea Stefenell

- Direttore: Giulio Castagnoli

- Coro: CASALECORO in collaborazione con il Coro Haendel di Trofarello (To) e il Coro Vivaldi di Cambiano (To)

 

Nell’ottica di divulgare e avvicinare la musica di qualità al grande pubblico, il biglietto per il concerto viene proposto al prezzo popolare di 10 Euro (gratuito per ragazzi under 10 anni).

Prevendita e info in Biblioteca Comunale e presso “ Profumo di Pane” in Piazza Giovanni XXIII di Piobesi Torinese.

 

La manifestazione si svolge sotto il patrocinio del Consiglio Regionale del Piemonte e del Comune di Piobesi Torinese e con la collaborazione dell’associazione Spazio Arte e Musica di Brandizzo (To) e della Prof.ssa Silvana Silbano.

 

Emmanuele Macaluso

giovedì 10 marzo 2022

ANALISI DELLA STRATEGIA DI REPUTATION MANAGEMENT, MARKETING E COMUNICAZIONE DI NICCOLO’ PAGANINI

Dopo quasi 200 anni il mito del musicista genovese resiste e cresce. Di seguito un’analisi della strategia di comunicazione e marketing che hanno portato alla creazione della reputazione di Niccolò Paganini.


Il passaparola era, insieme alla stampa, il modo migliore per promuovere un personaggio e renderlo pubblico. Paganini era capillare in questo. Piaceva e ammaliava il “popolino” e al contempo entusiasmava i nobili. Poter assistere ad un concerto, oppure poter ospitare un’accademia in casa, o nel proprio palazzo, era uno status. Qualcosa di cui vantarsi e quindi… di cui parlare per far parlare gli altri. In un gioco di specchi che andava a amplificare l’immagine di Paganini alla stessa velocità del suono. Questa volta non del violino, ma della voce.

Un altro fattore comunicativo importante era costituito dalla stampa. Anche in questo Paganini era maniacale. La copertura della cartellonistica legata ai suoi eventi pubblici era capillare. Ma in ogni manifesto c’era qualcosa che stimolava il pubblico a vivere l’esperienza musicale come una sfida. Non era così insolito che venisse pubblicizzata l’esposizione di un brano su un numero limitato di corde. Azione che poi veniva messa in atto con grande teatralità. Paganini infatti, non si limitava a non suonare le corde dello strumento, ma le rompeva apposta davanti al pubblico, perché non si dicesse che non fosse vero.

La strategia di comunicazione attraverso la stampa non riguardava solo i manifesti, ma anche i giornali. La fama del genovese era tale che i giornalisti facevano a gara per avere una dichiarazione o un’intervista. Gli impresari locali, che lo ospitavano in vista dei concerti, allertavano i giornalisti in un crescendo di tensione che coinvolgeva autori e lettori fino all’evento. Tensione che poi si trasformava in euforia dopo il concerto. Scrivere di Paganini era come per i nobili ospitarlo a casa per le accademie: uno status.

Lui lo sapeva e aveva imparato a governare questo processo comunicativo. Ne aveva capito l’importanza, la capillarità e soprattutto le conseguenze.

Sapientemente, quasi scientificamente, dava da mangiare a quella belva d’inchiostro, quel tanto che bastasse a tenerla viva. Ma sempre affamata.

Lui stesso se ne serviva in prima persona. Ad esempio, quando doveva fare delle smentite o delle dichiarazioni ufficiali, acquistava spazi e pagine per potersi esprimere. Per raccontare la visione dei fatti che lo riguardavano.

Un altro fattore essenziale nel successo della strategia comunicativa di Paganini è stata la teatralità. Paganini non si poneva come gli altri. Ha voluto fare di questo un caposaldo della sua carriera, ponendo il suo stesso cognome come un parametro di eccellenza.

L’equazione doveva essere semplice. Immediata. Matematica. Punto.

 

Paganini = Numero 1.

 

Questo approccio ha portato inevitabilmente a vere e proprie sfide con altri musicisti dell’epoca. Veri e propri duelli che si tenevano – ovviamente – in pubblico. La maggior parte dei competitor di Paganini davano per scontato che la fama del genovese fosse frutto del compiacimento di certa stampa nei confronti del violinista, e di quel processo abbastanza tipico della comunicazione verbale, secondo il quale, con il passaggio del messaggio attraverso più soggetti, ognuno di questi andrà ad aggiungere qualcosa al messaggio stesso, facendolo lievitare.

Si può quindi immaginare che per un musicista fosse difficile credere che quanto si dicesse di Paganini potesse essere vero.

Se ne parlava come qualcosa di sovrannaturale. Alcuni erano arrivati a dire che Paganini fosse “il violinista del diavolo”. L’interessato vedendone il ritorno reputazionale si guardava bene dal contraddire certe voci.

Le sfide erano quasi all’ordine del giorno, e Paganini era interessato a istigare questo processo, perché ogni vittoria era una pubblicità enorme. Una spinta reputazionale poderosa.

Alcune di queste venivano anche dai direttori dei teatri. Sui “famosi” manifesti, spesso il nostro pubblicava la capacità di poter esegure qualsiasi brano alla prima lettura. Alcuni direttori – che spesso erano anche compositori – piccati da questo atteggiamento, cercavano di tendere veri e propri agguati.

La storia ci ha insegnato che Paganini non ripete, ma vince sempre.

La superiorità tecnica dovuta al talento e all’ossessiva preparazione era palese. In relazione alla preparazione e al tempo che egli dedicava allo studio, è interessante ricordare una frase che a quanto pare avrebbe detto:

 

“Se non mi esercito per un giorno me ne accorgo io.

Se non mi esercito per due se ne accorge il pubblico”.

 

Sempre in relazione alla teatralità, un altro fattore era dato dall’utilizzo delle corde e dalla capacità di emettere suoni particolari.

Non era raro infatti, vedere le corde del violino rompersi sul palco e vedere l’artista continuare a suonare sulle rimanenti, fino al suonare su una singola corda. È facile immaginare come questa prova di bravura mandasse in delirio il pubblico, diventando ennesima ragione di esposizione reputazionale.

E poi c’erano i suoni fatti per creare ilarità tra il pubblico. Cinguettii, tremolii, fischi e molti altri suoni che Paganini faceva emettere allo strumento, con lo scopo di divertire il pubblico e creare un ennesimo filone di discussione fuori dal teatro. In questo, si riconosce nel musicista una grande capacità di lettura del pubblico, di previsione delle reazioni e delle conseguenze di queste dal punto di vista della comunicazione extramusicale.

Altro fattore di teatralità è la creazione di una figura iconica che possa essere immaginata, riprodotta e riconosciuta. Niccolò Paganini aveva un aspetto particolare. Reso ancora più evidente nella seconda parte della sua carriera, a seguito dell’arrivo di malattie e la cronicizzazione di alcuni fattori fisici. Magro, con il volto scavato con al centro un naso importante, la sua figura longilinea aveva assunto una postura non simmetrica, che veniva accentuata dal suonare lo strumento a spalla. La documentazione medica di Niccolò Paganini è parte integrante di qualsiasi biografia. Addirittura, vi sono interi volumi dedicati alle sue cartelle mediche e allo stato di salute dell’artista genovese.

Uno stato di salute diventato sempre più precario, non solo per la fatica fisica dei suoi (numerosi) concerti, ma anche perché viaggiare nella prima metà dell’800 voleva dire sottoporsi a pericoli e scomodità che sicuramente non gli hanno giovato.

Quell’uomo magro dai capelli lunghi, piegato su un fianco con il suo violino, sul palco di un teatro doveva dare l’idea di un uomo gracile. Forse debole. Eppure la forza e la velocità della sua musica lo rendeva quasi un titano. Anche la sua fisicità ha influito nella nascita della sua figura iconica. Lo stato di salute divenne ad un certo punto un tale fattore di interesse, che lo stesso Paganini, in più occasioni, dovette comprare pagine di giornale per smentire voci su una sua imminente dipartita. Un po’ come accade oggi a molti dei nostri cosiddetti VIP sui social.

Non solo. Il perdurare delle patologie, l’erosione di queste dal punto di vista fisiologico e le conseguenze che sempre queste avevano sull’aspetto del musicista, hanno probabilmente portato al rafforzamento di molti miti e dicerie. Alcune al limite della superstizione.

Quel continuo “consumarsi” del fisico di Paganini, per qualcuno, era il prezzo dovuto a qualche entità maligna per il talento e il successo ottenuto. Un tributo. Una maledizione.

Nonostante questo, un altro fattore ha contribuito alla nascita – e al perdurare – del mito di Paganini: l’esclusività. Sebbene come artista avesse molto a cuore le sue finanze, e per questo in modo incessante teneva concerti e accademie mettendosi a disposizione di coloro che richiedessero la sua presenza, divenne anche il violinista di re e imperatori. Attività che creò attorno alla sua immagine un’allure notevole. In alcuni casi glamour diremmo oggi.

Nel corso della sua carriera infatti, ha suonato per la maggior parte dell’estabilishment europeo. Per un lungo periodo è stato anche al servizio di Elisa Bonaparte Baciocchi (3 gennaio 1777 – 7 agosto 1820) sorella dell’imperatore Napoleone.

Paganini, a quanto pare, aveva sulle donne un’influenza fortissima - in alcuni casi quasi estatica - e questo portava i cortigiani prima, e il popolo poi, a tessere vere e proprie storie che oggi definiremmo gossip.

Che queste storie fossero vere o false, manovrate o no, quel che è certo è che hanno contribuito alla costruzione dell’immagine del figlio di un mercante genovese che è riuscito a entrare nel letto di regine, nobili e cortigiane. Non sappiamo quanto questo facesse piacere a Paganini, sicuramente metteva il nome dell’artista sulla bocca di tutti.

Ultimo fattore: la musica. Pur non volendo entrare nel merito tecnico musicale, è evidente che Paganini abbia comunicato attraverso la musica. Lo ha fatto sotto molti punti di vista.

All’inizio della sua carriera per stupire e accreditarsi artisticamente e socialmente. All’apice della sua carriera per consolidare la sua leadership artistica e sociale. Nell’ultima parte della sua esistenza per condividere con i posteri e per stupire le generazioni future. Quello della trascrizione dei suoi brani non è solo un atto di condivisione o di amore per la musica, i futuri colleghi e il pubblico. Le trascrizioni paganiniane, dal punto di vista comunicativo, sono state il modo attraverso il quale Paganini ha formalizzato, reso pubblico, e tramandato il limite che lui (e solo lui fino a quel momento) è stato capace di creare nell’arte alla quale appartiene.

È come se, attraverso quegli spartiti, volesse dirci “Questo è quello che ho fatto. Questo è quello che sono stato. Questo è l’apice al mio tempo. Cioè io”.

Forse un’altra sfida che non poteva essere perduta. O forse, l’ultima volontà di un genio di controllare la sua immagine attraverso la sua musica oltre il suo tempo.

In conclusione di questo breve saggio, è possibile dedurre alcune considerazioni:

  • Paganini aveva una grande visione d’insieme.
  • Gli strumenti e i canali comunicativi a disposizione non erano molti come oggi, ma venivano utilizzati in modo efficace, con grande controllo e determinazione.
  • Le conoscenze dal punto di vista delle dinamiche sociali, la capacità di tessere relazioni strategiche e di comunicare in modo chiaro ed efficiente, erano molto approfondite e venivano attuate in modo diverso in base al target di riferimento.
  • Ha attuato sempre attività di comunicazione e strategie reputazionali durante tutte le fasi della sua ascesa artistica e sociale.
  • È stato in grado di attuare strategie di marketing integrato.
  • Ha tenuto sempre in considerazione il punto di vista degli shareholder e degli stakeholder, con una visione prospettica molto moderna per quei tempi. Al punto che tali prospettive sono al centro di attività formative tutt’oggi.
  • Ha usato il suo aspetto fisico come base per la creazione iconografica della sua reputazione.
  • Ha inserito nella sua attività di performer elementi di stupore che, a quei tempi, equivalevano a veri e propri effetti speciali, valutandone le conseguenze dal punto di vista comunicativo e reputazionale.
  • La sua strategia di personal branding non ammetteva repliche o competitor. Ha sempre puntato all’unicità e all’esclusività del suo prodotto. Il brand Paganini doveva essere affiancato al concetto stesso di perfezione e leadership di mercato.
  • Non ha mai dato per scontato i risultati raggiunti. La sua cultura del lavoro, forgiata da ore di studio fin dalla giovane età, sono stati un elemento distintivo della sua attività artistica, che è poi stata valorizzata attraverso varie forme di comunicazione.
  • L’utilizzo della stampa e la capacità di controllo e influenza delle informazioni sul suo conto era altissima.
  • La conoscenza della natura umana, delle debolezze e della scarsa cultura generalizzata dell’epoca, sono stati strumenti che ha utilizzato a suo favore nella creazione di miti che hanno rafforzato la sua reputazione

 

Emmanuele Macaluso