Dopo
quasi 200 anni il mito del musicista genovese resiste e cresce. Di seguito un’analisi
della strategia di comunicazione e marketing che hanno portato alla creazione
della reputazione di Niccolò Paganini.
Il
passaparola era, insieme alla stampa, il modo migliore per promuovere un
personaggio e renderlo pubblico. Paganini era capillare in questo. Piaceva e
ammaliava il “popolino” e al contempo entusiasmava i nobili. Poter
assistere ad un concerto, oppure poter ospitare un’accademia in casa, o nel
proprio palazzo, era uno status. Qualcosa di cui vantarsi e quindi…
di cui parlare per far parlare gli altri. In un gioco di specchi che andava a
amplificare l’immagine di Paganini alla stessa velocità del suono. Questa volta
non del violino, ma della voce.
Un altro
fattore comunicativo importante era costituito dalla stampa. Anche in questo
Paganini era maniacale. La copertura della cartellonistica legata ai suoi
eventi pubblici era capillare. Ma in ogni manifesto c’era qualcosa che
stimolava il pubblico a vivere l’esperienza musicale come una sfida. Non era
così insolito che venisse pubblicizzata l’esposizione di un brano su un numero
limitato di corde. Azione che poi veniva messa in atto con grande teatralità.
Paganini infatti, non si limitava a non suonare le corde dello strumento, ma le
rompeva apposta davanti al pubblico, perché non si dicesse che non fosse vero.
La strategia
di comunicazione attraverso la stampa non riguardava solo i manifesti, ma anche
i giornali. La fama del genovese era tale che i giornalisti facevano a gara per
avere una dichiarazione o un’intervista. Gli impresari locali, che lo
ospitavano in vista dei concerti, allertavano i giornalisti in un crescendo di
tensione che coinvolgeva autori e lettori fino all’evento. Tensione che poi si
trasformava in euforia dopo il concerto. Scrivere di Paganini era come per i
nobili ospitarlo a casa per le accademie: uno status.
Lui lo
sapeva e aveva imparato a governare questo processo comunicativo. Ne aveva
capito l’importanza, la capillarità e soprattutto le conseguenze.
Sapientemente,
quasi scientificamente, dava da mangiare a quella belva d’inchiostro, quel
tanto che bastasse a tenerla viva. Ma sempre affamata.
Lui stesso
se ne serviva in prima persona. Ad esempio, quando doveva fare delle smentite o
delle dichiarazioni ufficiali, acquistava spazi e pagine per potersi esprimere.
Per raccontare la visione dei fatti che lo riguardavano.
Un altro
fattore essenziale nel successo della strategia comunicativa di Paganini è
stata la teatralità. Paganini non si poneva come gli altri. Ha voluto fare di
questo un caposaldo della sua carriera, ponendo il suo stesso cognome come un
parametro di eccellenza.
L’equazione
doveva essere semplice. Immediata. Matematica. Punto.
Paganini =
Numero 1.
Questo
approccio ha portato inevitabilmente a vere e proprie sfide con altri musicisti
dell’epoca. Veri e propri duelli che si tenevano – ovviamente – in pubblico. La
maggior parte dei competitor di Paganini davano per scontato che la fama del
genovese fosse frutto del compiacimento di certa stampa nei confronti del
violinista, e di quel processo abbastanza tipico della comunicazione verbale,
secondo il quale, con il passaggio del messaggio attraverso più soggetti,
ognuno di questi andrà ad aggiungere qualcosa al messaggio stesso, facendolo
lievitare.
Si può quindi
immaginare che per un musicista fosse difficile credere che quanto si dicesse
di Paganini potesse essere vero.
Se ne
parlava come qualcosa di sovrannaturale. Alcuni erano arrivati a dire che
Paganini fosse “il violinista del diavolo”. L’interessato vedendone il
ritorno reputazionale si guardava bene dal contraddire certe voci.
Le sfide
erano quasi all’ordine del giorno, e Paganini era interessato a istigare questo
processo, perché ogni vittoria era una pubblicità enorme. Una spinta
reputazionale poderosa.
Alcune di
queste venivano anche dai direttori dei teatri. Sui “famosi” manifesti, spesso
il nostro pubblicava la capacità di poter esegure qualsiasi brano alla prima
lettura. Alcuni direttori – che spesso erano anche compositori – piccati da
questo atteggiamento, cercavano di tendere veri e propri agguati.
La storia ci
ha insegnato che Paganini non ripete, ma vince sempre.
La
superiorità tecnica dovuta al talento e all’ossessiva preparazione era palese.
In relazione alla preparazione e al tempo che egli dedicava allo studio, è
interessante ricordare una frase che a quanto pare avrebbe detto:
“Se non mi
esercito per un giorno me ne accorgo io.
Se non mi
esercito per due se ne accorge il pubblico”.
Sempre in
relazione alla teatralità, un altro fattore era dato dall’utilizzo delle corde
e dalla capacità di emettere suoni particolari.
Non era raro
infatti, vedere le corde del violino rompersi sul palco e vedere l’artista
continuare a suonare sulle rimanenti, fino al suonare su una singola corda. È
facile immaginare come questa prova di bravura mandasse in delirio il pubblico,
diventando ennesima ragione di esposizione reputazionale.
E poi
c’erano i suoni fatti per creare ilarità tra il pubblico. Cinguettii, tremolii,
fischi e molti altri suoni che Paganini faceva emettere allo strumento, con lo
scopo di divertire il pubblico e creare un ennesimo filone di discussione fuori
dal teatro. In questo, si riconosce nel musicista una grande capacità di
lettura del pubblico, di previsione delle reazioni e delle conseguenze di
queste dal punto di vista della comunicazione extramusicale.
Altro
fattore di teatralità è la creazione di una figura iconica che possa essere
immaginata, riprodotta e riconosciuta. Niccolò Paganini aveva un aspetto
particolare. Reso ancora più evidente nella seconda parte della sua carriera, a
seguito dell’arrivo di malattie e la cronicizzazione di alcuni fattori fisici.
Magro, con il volto scavato con al centro un naso importante, la sua figura
longilinea aveva assunto una postura non simmetrica, che veniva accentuata dal
suonare lo strumento a spalla. La documentazione medica di Niccolò Paganini è
parte integrante di qualsiasi biografia. Addirittura, vi sono interi volumi
dedicati alle sue cartelle mediche e allo stato di salute dell’artista
genovese.
Uno stato di
salute diventato sempre più precario, non solo per la fatica fisica dei suoi
(numerosi) concerti, ma anche perché viaggiare nella prima metà dell’800 voleva
dire sottoporsi a pericoli e scomodità che sicuramente non gli hanno giovato.
Quell’uomo
magro dai capelli lunghi, piegato su un fianco con il suo violino, sul palco di
un teatro doveva dare l’idea di un uomo gracile. Forse debole. Eppure la forza
e la velocità della sua musica lo rendeva quasi un titano. Anche la sua
fisicità ha influito nella nascita della sua figura iconica. Lo stato di salute
divenne ad un certo punto un tale fattore di interesse, che lo stesso Paganini,
in più occasioni, dovette comprare pagine di giornale per smentire voci su una
sua imminente dipartita. Un po’ come accade oggi a molti dei nostri cosiddetti
VIP sui social.
Non solo. Il
perdurare delle patologie, l’erosione di queste dal punto di vista fisiologico
e le conseguenze che sempre queste avevano sull’aspetto del musicista, hanno
probabilmente portato al rafforzamento di molti miti e dicerie. Alcune al
limite della superstizione.
Quel
continuo “consumarsi” del fisico di Paganini, per qualcuno, era il prezzo
dovuto a qualche entità maligna per il talento e il successo ottenuto. Un
tributo. Una maledizione.
Nonostante
questo, un altro fattore ha contribuito alla nascita – e al perdurare – del
mito di Paganini: l’esclusività. Sebbene come artista avesse molto a cuore le
sue finanze, e per questo in modo incessante teneva concerti e accademie
mettendosi a disposizione di coloro che richiedessero la sua presenza, divenne
anche il violinista di re e imperatori. Attività che creò attorno alla sua
immagine un’allure notevole. In alcuni casi glamour diremmo oggi.
Nel corso
della sua carriera infatti, ha suonato per la maggior parte dell’estabilishment
europeo. Per un lungo periodo è stato anche al servizio di Elisa Bonaparte
Baciocchi (3 gennaio 1777 – 7 agosto 1820) sorella dell’imperatore Napoleone.
Paganini, a
quanto pare, aveva sulle donne un’influenza fortissima - in alcuni casi quasi
estatica - e questo portava i cortigiani prima, e il popolo poi, a tessere vere
e proprie storie che oggi definiremmo gossip.
Che queste
storie fossero vere o false, manovrate o no, quel che è certo è che hanno
contribuito alla costruzione dell’immagine del figlio di un mercante genovese
che è riuscito a entrare nel letto di regine, nobili e cortigiane. Non sappiamo
quanto questo facesse piacere a Paganini, sicuramente metteva il nome
dell’artista sulla bocca di tutti.
Ultimo
fattore: la musica. Pur non volendo entrare nel merito tecnico musicale, è
evidente che Paganini abbia comunicato attraverso la musica. Lo ha fatto sotto
molti punti di vista.
All’inizio
della sua carriera per stupire e accreditarsi artisticamente e socialmente.
All’apice della sua carriera per consolidare la sua leadership artistica
e sociale. Nell’ultima parte della sua esistenza per condividere con i posteri
e per stupire le generazioni future. Quello della trascrizione dei suoi brani
non è solo un atto di condivisione o di amore per la musica, i futuri colleghi
e il pubblico. Le trascrizioni paganiniane, dal punto di vista comunicativo,
sono state il modo attraverso il quale Paganini ha formalizzato, reso pubblico,
e tramandato il limite che lui (e solo lui fino a quel momento) è stato capace
di creare nell’arte alla quale appartiene.
È come se,
attraverso quegli spartiti, volesse dirci “Questo è quello che ho fatto. Questo
è quello che sono stato. Questo è l’apice al mio tempo. Cioè io”.
Forse
un’altra sfida che non poteva essere perduta. O forse, l’ultima volontà di un
genio di controllare la sua immagine attraverso la sua musica oltre il suo
tempo.
In
conclusione di questo breve saggio, è possibile dedurre alcune considerazioni:
- Paganini aveva una grande
visione d’insieme.
- Gli strumenti e i canali
comunicativi a disposizione non erano molti come oggi, ma venivano utilizzati
in modo efficace, con grande controllo e determinazione.
- Le conoscenze dal punto di
vista delle dinamiche sociali, la capacità di tessere relazioni
strategiche e di comunicare in modo chiaro ed efficiente, erano molto
approfondite e venivano attuate in modo diverso in base al target di
riferimento.
- Ha attuato sempre attività di
comunicazione e strategie reputazionali durante tutte le fasi della sua
ascesa artistica e sociale.
- È stato in grado di attuare
strategie di marketing integrato.
- Ha tenuto sempre in
considerazione il punto di vista degli shareholder e degli stakeholder,
con una visione prospettica molto moderna per quei tempi. Al punto che
tali prospettive sono al centro di attività formative tutt’oggi.
- Ha usato il suo aspetto fisico
come base per la creazione iconografica della sua reputazione.
- Ha inserito nella sua attività
di performer elementi di stupore che, a quei tempi, equivalevano a
veri e propri effetti speciali, valutandone le conseguenze dal punto di
vista comunicativo e reputazionale.
- La sua strategia di personal
branding non ammetteva repliche o competitor. Ha sempre puntato
all’unicità e all’esclusività del suo prodotto. Il brand Paganini
doveva essere affiancato al concetto stesso di perfezione e leadership di
mercato.
- Non ha mai dato per scontato i
risultati raggiunti. La sua cultura del lavoro, forgiata da ore di studio
fin dalla giovane età, sono stati un elemento distintivo della sua
attività artistica, che è poi stata valorizzata attraverso varie forme di
comunicazione.
- L’utilizzo della stampa e la
capacità di controllo e influenza delle informazioni sul suo conto era
altissima.
- La conoscenza della natura
umana, delle debolezze e della scarsa cultura generalizzata dell’epoca,
sono stati strumenti che ha utilizzato a suo favore nella creazione di
miti che hanno rafforzato la sua reputazione
Emmanuele Macaluso