Un viaggio nella musica passa
anche attraverso gli strumenti musicali e i luoghi dove questi prendono vita.
Il nostro inizia dall’ultima fabbrica di chitarre in Italia che utilizza ancora
tecniche artigianali.
(Roberto
Ferrarotti davanti all’attuale gamma di chitarre nello showroom dell’azienda -
Credit: Emmanuele Macaluso)
Ci
siamo interrogati più volte su quale sarebbe stato il modo migliore per
iniziare le pubblicazioni di un progetto editoriale chiamato Opificio della
Musica. Ora, abbiamo la piena convinzione di aver scelto con cura e cognizione
di causa il nome del nostro primo passo. Siamo andati a visitare la Ferrarotti di
Torino, l’unica (e ultima) fabbrica produttrice di chitarre da studio in
Italia.
Ad
accoglierci Roberto, quarta generazione di una dinastia di produttori artigiani
di strumenti a corde.
L’ufficio
contiene tutti i modelli prodotti dalla casa e i muri trasudano storia,
ricoperti di strumenti e quadri con i riconoscimenti e i documenti storici che
parlano ancora il linguaggio dei primi anni del ‘900.
Una
sorta di museo, dove è possibile sedersi per provare la propria chitarra
potendo fare domande a chi quella chitarra l’ha costruita, in una continua
alternanza tra passato e presente, con in sottofondo l’odore dei legni che
provengono dall’officina attaccata all’ufficio.
Ferrarotti - Cenni
Storici
La
storia della fabbrica di strumenti a corde Ferrarotti nasce quando una fabbrica
non c’era ancora, ma con un uomo venuto al mondo in un piccolo paese della
provincia vercellese. Luigi Ferrarotti, classe 1878, emette il suo primo vagito
a Robella di Trino, un paesino agricolo dove anche lui lavora i campi e nel
tempo libero suona nella locale banda municipale. Una passione per la musica
che significa libertà e alla quale affianca una capacità manuale antica e ormai
quasi scomparsa. All’inizio del ‘900 si trasferisce con la moglie e i suoi tre
figli a Torino, dove lavora presso la Società Tranviaria Belga come falegname.
Luigi
acquisisce una grande manualità con il legno mentre nel corso del giorno
costruisce gli arredi interni dei tram. Oltre alla famiglia, il giovane
vercellese porta nella capitale sabauda anche la sua passione per la musica. La
sera, dopo il lavoro, condivide le sue conoscenze musicali attraverso
l’insegnamento.
Unisce
quindi le sue competenze con il legno e la sua passione per la musica aprendo
un laboratorio in Corso Casale dove si dedica a tempo pieno alla costruzione di
strumenti a corda, seguendo il gusto e le richieste dell’epoca. Da quel
laboratorio escono mandolini, mandole e chitarre.
Nel
1911 partecipa all’Esposizione Internazionale di Torino dove viene premiato per
i suoi strumenti.
(Il certificato
di premiazione dell’Esposizione Internazionale di Torino del 1911 - Credit:
Emmanuele Macaluso)
Successivamente
si trasferisce in un nuovo laboratorio, sempre nella Torino che non ha più
lasciato, in corso Vercelli, nella zona di Barriera di Milano. Nel frattempo si
unisce al fondatore la seconda generazione Ferrarotti, con l’inizio della
collaborazione del figlio Dionigi.
Nel
1954 l’ultimo spostamento, che porta la fabbrica in via Thures, dove l’aumento
delle richieste dovute alla grande diffusione della chitarra ha portato alla
necessità di locali più ampi.
Nei
nuovi locali arriva la terza generazione della famiglia Ferrarotti. Dionigi
dona al figlio il nome di suo padre, condivide e tramanda l’azienda per altri
decenni.
L’arrivo
di Luigi in fabbrica avviene in un momento di grandissimo sviluppo per gli
strumenti a corda.
Tra
il 1965 e il 1980 circa, la Ferrarotti arriva ai suoi numeri di produzione più
alti. Produce chitarre classiche da concerto e da studio, chitarre
semiacustiche elettrificate e contrabbassi.
La
lunga vita di un’azienda con più di cento anni di vita passa anche attraverso
scelte strategiche. A farle è Roberto Ferrarotti, figlio di Luigi, quarta
generazione della famiglia a dedicare la vita alla musica attraverso i suoi
strumenti.
Un
ricambio generazionale che affiancando la precedente ha portato nel 2001 al
conseguimento del Diploma di Eccellenza Artigiana del Piemonte rilasciato dalla
Regione Piemonte.
Il Presente
Roberto
Ferrarotti, diventa titolare dell’azienda di famiglia nel 2012 e sceglie di
concentrarsi sulla qualità e su una produzione destinata al mercato italiano. Una
scelta coraggiosa, presa mentre il mercato delle chitarre da studio (che ora
rappresentano la principale risorsa della produzione), viene invasa da prodotti
di scarsa qualità dall’estremo oriente. Principalmente dalla Cina.
Roberto
decide di costruire un prodotto totalmente fatto in Italia da dedicare ai
musicisti italiani. Mentre nelle chitarre provenienti dall’oriente si
utilizzano sinonimi del compensato, Ferrarotti decide di continuare a parlare
di legni. Decide di dare ai principianti e ai musicisti più esperti strumenti
di qualità sui quali costruire la propria passione e, in alcuni casi, la
propria carriera.
Nel
frattempo il mondo diventa digitale, cambia l’utenza e i prezzi dei materiali
aumentano, ma Roberto continua, con la consapevolezza (e forse il peso) di
essere la quarta generazione di un’azienda che, oltre ai riconoscimenti, si è
guadagnata il proprio posto nella storia della liuteria italiana e in migliaia
di case.
Cambiano
i tempi, cambiano le strategie, ma non la volontà di distinguersi, con la
granitica convinzione che segnare la differenza in termini qualitativi sia la
chiave di volta per non scendere a compromessi con la bassa qualità estera.
Oltre
alle chitarre da studio quindi, alza l’asticella e comincia a produrre chitarre
classiche di gamma superiore, che possano soddisfare chi uno strumento lo sa
già suonare. Sviluppa e produce nuovi modelli con varianti che permettono al
suono di liberarsi meglio dallo strumento, grazie a scelte legate al processo
di verniciatura. Produce le sue prime “open pore” (pori aperti), ovvero chitarre con casse con un minor strato di
vernice, in grado di lasciare maggior porosità al legno permettendo a questo di
essere più libero di vibrare grazie al minor numero di “maglie chimiche”.
Attualmente
la produzione Ferrarotti vanta 6 modelli e 3 varianti “natural” (open pore):
-
UnoEnne Tre Quarti (chitarra da studio adatta anche ai più piccoli)
-
UnoEnne
-
DueBis (anche con tavola in cedro)
-
Manola
-
Gemma
-
Concerto
Rigorosamente
citate in ordine di prestigio e qualità.
Il prossimo
futuro
Come
anticipato, Ferrarotti investirà molto nel prossimo futuro sulla qualità e
sulla diversificazione degli strumenti, portando maggiore attenzione verso la
fascia intermedia, mantenendo la barra dritta su quel delicato equilibrio tra
l’intransigenza della qualità italiana e i prezzi dell’attuale mercato.
Tutto
questo nonostante il fatto che alcune materie prime, nell’ultimo anno, abbiano
avuto rincari che vanno dal 25 al 40 per cento.
Un
fattore che di certo non aiuta il raggiungimento di molti risultati economici,
ma che pare comunque impattare e piegarsi alla determinazione che traspare da
Roberto Ferrarotti. Un uomo, ancor prima che un imprenditore, che ha ben chiaro
il fatto che le sue creazioni siano dedicate a musicisti del presente e del
futuro, che attraverso lo studio e la dedizione che la musica esige sanno
comprendere il concetto di qualità.
La fabbrica
Ferrarotti
Visitare
la fabbrica Ferrarotti è un privilegio e contemporaneamente un viaggio in un
passato recente. Sebbene Ferrarotti non sia un liutaio che produce gli
strumenti singolarmente, non si ha l’impressione di muoversi in una fabbrica.
Sicuramente non in quel contesto da “catena di montaggio” che potremmo
immaginare. L’ambiente nel quale ci sentiamo immersi è un laboratorio di
falegnameria, con sagome di chitarre impilate e strumenti di produzione (spesso
autocostruiti) che danno il senso di un lavoro artigianale che è lì. Esiste.
Resiste.
L’odore
del legno è presente e regala sensazioni dalle quali troppo spesso ci
allontaniamo. Sembra che regni il caos tipico dei luoghi di lavoro operosi, ma
se si guarda meglio, con attenzione, nulla è in un posto diverso da quello in
cui dovrebbe essere.
Impressionante
la tecnica a fuoco con la quale si dà forma e si saldano le fasce delle
chitarre. Il reparto verniciatura e le rastrelliere sulle quali vengono poste
ad asciugare le chitarre sanno di storia, di logica, di presente e futuro.
Per
chi scrive, camminare in quel laboratorio e essere guidato da chi lo ha creato,
modificato e adattato ai cambiamenti del tempo, ha smesso fin da subito di
essere un’esperienza professionale per tramutarsi in un’esperienza umana. Si fa
fatica a cercare di non banalizzare, ma è stato un viaggio nel tempo.
(Una fase della
lavorazione - Credit: Emmanuele Macaluso)
Oltre alla
fabbrica
C’è
un aspetto che colpisce quando si rientra in ufficio dopo aver visitato la
fabbrica. A lato dell’esposizione, su una scaffalatura laterale ci sono
strumenti più antichi. Si scopre che Ferrarotti affianca alla sua attività di
produzione di chitarre quella di riparazione di strumenti a corde. Chiediamo il
permesso, e ci viene concesso, di entrare in contatto con chitarre e mandolini
che hanno un secolo di vita. Prodotti talvolta proprio dalla stessa Ferrarotti
che, proprio grazie a questo lavoro di liuteria e riparazione, è riuscita a
rientrare in possesso di alcuni strumenti della propria collezione. Veri e
propri gioielli di legno, con intarsi e inserti in madreperla degni delle
migliori liuterie.
Alcune
considerazioni
Al
termine di questo articolo, che potrebbe aver assunto talvolta le connotazioni
del saggio breve, rimane la profonda ammirazione per un’azienda che è prima di
ogni altra cosa l’insieme di una visione sul medio e lungo termine al quale
purtoppo ci siamo disabituati. Una fabbrica che è una famiglia (nel vero senso
della parola) e che attraverso quattro generazioni e più di cento anni ha
attraversato la storia del nostro Paese e ha permesso a migliaia di musicisti
di esprimersi. Credo che Ferrarotti rispecchi in toto quella cultura del “fare”
e del “procedere” che hanno solo gli italiani.
Per
questa ragione appare incomprensibile il fatto che si possano fare -
soprattutto all’inizio della propria carriera musicale - delle scelte basate
soltanto sulla velocità di un click. Al termine della nostra visita, durante la
quale abbiamo anche avuto il piacere di conoscere il Sig. Luigi, papà di
Roberto, non riusciamo a smettere di porci questa domanda: Perché comprare (a
parità di przzo) degli strumenti di compensato dalla Cina, invece di prenderne
uno di “legno vero” prodotto in Italia? Con le stesse tecniche artigianali (e
qualitative) del secolo scorso tra l’altro!
Talvolta,
si utilizza la retorica per semplificare un concetto o per portare chi ascolta
ad una epifania o ad una convinzione di colui che parla. Questa volta invece,
la domanda è reale. Concreta. Solida.
Emmanuele Macaluso
Nota di
redazione
Desideriamo
terminare questo lavoro con una piccola nota che crediamo sia dovuta. Nei
confronti della famiglia Ferrarotti e del gentile lettore. La stesura di questo
articolo, anche delle parti più entusiastiche, non è frutto di un lavoro
redazionale e/o a pagamento da parte dell’azienda nei confronti di chi scrive.
La
stesura di questo lavoro è il frutto del riconoscimento dell’autore nei
confronti di un’azienda che si è guadagnata sul campo, e nel tempo, i meriti di
cui diamo conto.
Una
determinazione e una ricerca verso l’eccellenza artigiana che l’evoluzione
socioculturale e economica stanno sbiadendo, e che crediamo di dover invece
mantenere viva attraverso gli strumenti che abbiamo a disposizione.
Parlare
di Ferrarotti, come di tutte le altre eccellenze della liuteria e della
produzione di strumenti, attraverso i quali generazioni di artisti hanno
condiviso bellezza attraverso la musica, rappresenta un dovere verso la
collettività. Un dovere che vuole portare avanti nel tempo quelle eccellenze
che hanno reso l’Italia uno dei riferimenti dell’arte nel mondo.
Il
rischio - e ci verrà perdonata questa
piccola riflessione personale - è che come succede in altri Paesi, si
portino i turisti a visitare luoghi con storie millenarie, incapaci di creare
arte successivamente.
Il
contesto artistico e culturale italiano non può e non deve vivere solo sulla
propria storia, poiché la freccia del tempo ci destina ad allontanarci da essa.
Da noi stessi. Con il rischio di non comprendere chi siamo oggi perché abbiamo
dimenticato cosa siamo stati ieri.
La
redazione di questo articolo è il modesto contributo che sentiamo l’esigenza di
dover apportare.