lunedì 11 aprile 2022

FERRAROTTI: L’ULTIMA FABBRICA DI CHITARRE ARTIGIANALI IN ITALIA

Un viaggio nella musica passa anche attraverso gli strumenti musicali e i luoghi dove questi prendono vita. Il nostro inizia dall’ultima fabbrica di chitarre in Italia che utilizza ancora tecniche artigianali.

(Roberto Ferrarotti davanti all’attuale gamma di chitarre nello showroom dell’azienda - Credit: Emmanuele Macaluso)

Ci siamo interrogati più volte su quale sarebbe stato il modo migliore per iniziare le pubblicazioni di un progetto editoriale chiamato Opificio della Musica. Ora, abbiamo la piena convinzione di aver scelto con cura e cognizione di causa il nome del nostro primo passo. Siamo andati a visitare la Ferrarotti di Torino, l’unica (e ultima) fabbrica produttrice di chitarre da studio in Italia.

Ad accoglierci Roberto, quarta generazione di una dinastia di produttori artigiani di strumenti a corde.

L’ufficio contiene tutti i modelli prodotti dalla casa e i muri trasudano storia, ricoperti di strumenti e quadri con i riconoscimenti e i documenti storici che parlano ancora il linguaggio dei primi anni del ‘900.

Una sorta di museo, dove è possibile sedersi per provare la propria chitarra potendo fare domande a chi quella chitarra l’ha costruita, in una continua alternanza tra passato e presente, con in sottofondo l’odore dei legni che provengono dall’officina attaccata all’ufficio.

 

Ferrarotti - Cenni Storici

La storia della fabbrica di strumenti a corde Ferrarotti nasce quando una fabbrica non c’era ancora, ma con un uomo venuto al mondo in un piccolo paese della provincia vercellese. Luigi Ferrarotti, classe 1878, emette il suo primo vagito a Robella di Trino, un paesino agricolo dove anche lui lavora i campi e nel tempo libero suona nella locale banda municipale. Una passione per la musica che significa libertà e alla quale affianca una capacità manuale antica e ormai quasi scomparsa. All’inizio del ‘900 si trasferisce con la moglie e i suoi tre figli a Torino, dove lavora presso la Società Tranviaria Belga come falegname.

Luigi acquisisce una grande manualità con il legno mentre nel corso del giorno costruisce gli arredi interni dei tram. Oltre alla famiglia, il giovane vercellese porta nella capitale sabauda anche la sua passione per la musica. La sera, dopo il lavoro, condivide le sue conoscenze musicali attraverso l’insegnamento.

Unisce quindi le sue competenze con il legno e la sua passione per la musica aprendo un laboratorio in Corso Casale dove si dedica a tempo pieno alla costruzione di strumenti a corda, seguendo il gusto e le richieste dell’epoca. Da quel laboratorio escono mandolini, mandole e chitarre.

Nel 1911 partecipa all’Esposizione Internazionale di Torino dove viene premiato per i suoi strumenti.

(Il certificato di premiazione dell’Esposizione Internazionale di Torino del 1911 - Credit: Emmanuele Macaluso)

Successivamente si trasferisce in un nuovo laboratorio, sempre nella Torino che non ha più lasciato, in corso Vercelli, nella zona di Barriera di Milano. Nel frattempo si unisce al fondatore la seconda generazione Ferrarotti, con l’inizio della collaborazione del figlio Dionigi.

Nel 1954 l’ultimo spostamento, che porta la fabbrica in via Thures, dove l’aumento delle richieste dovute alla grande diffusione della chitarra ha portato alla necessità di locali più ampi.

Nei nuovi locali arriva la terza generazione della famiglia Ferrarotti. Dionigi dona al figlio il nome di suo padre, condivide e tramanda l’azienda per altri decenni.

L’arrivo di Luigi in fabbrica avviene in un momento di grandissimo sviluppo per gli strumenti a corda.

Tra il 1965 e il 1980 circa, la Ferrarotti arriva ai suoi numeri di produzione più alti. Produce chitarre classiche da concerto e da studio, chitarre semiacustiche elettrificate e contrabbassi.

La lunga vita di un’azienda con più di cento anni di vita passa anche attraverso scelte strategiche. A farle è Roberto Ferrarotti, figlio di Luigi, quarta generazione della famiglia a dedicare la vita alla musica attraverso i suoi strumenti.

Un ricambio generazionale che affiancando la precedente ha portato nel 2001 al conseguimento del Diploma di Eccellenza Artigiana del Piemonte rilasciato dalla Regione Piemonte.

 

Il Presente

Roberto Ferrarotti, diventa titolare dell’azienda di famiglia nel 2012 e sceglie di concentrarsi sulla qualità e su una produzione destinata al mercato italiano. Una scelta coraggiosa, presa mentre il mercato delle chitarre da studio (che ora rappresentano la principale risorsa della produzione), viene invasa da prodotti di scarsa qualità dall’estremo oriente. Principalmente dalla Cina.

Roberto decide di costruire un prodotto totalmente fatto in Italia da dedicare ai musicisti italiani. Mentre nelle chitarre provenienti dall’oriente si utilizzano sinonimi del compensato, Ferrarotti decide di continuare a parlare di legni. Decide di dare ai principianti e ai musicisti più esperti strumenti di qualità sui quali costruire la propria passione e, in alcuni casi, la propria carriera.

Nel frattempo il mondo diventa digitale, cambia l’utenza e i prezzi dei materiali aumentano, ma Roberto continua, con la consapevolezza (e forse il peso) di essere la quarta generazione di un’azienda che, oltre ai riconoscimenti, si è guadagnata il proprio posto nella storia della liuteria italiana e in migliaia di case.

Cambiano i tempi, cambiano le strategie, ma non la volontà di distinguersi, con la granitica convinzione che segnare la differenza in termini qualitativi sia la chiave di volta per non scendere a compromessi con la bassa qualità estera.

Oltre alle chitarre da studio quindi, alza l’asticella e comincia a produrre chitarre classiche di gamma superiore, che possano soddisfare chi uno strumento lo sa già suonare. Sviluppa e produce nuovi modelli con varianti che permettono al suono di liberarsi meglio dallo strumento, grazie a scelte legate al processo di verniciatura. Produce le sue prime “open pore” (pori aperti), ovvero chitarre con casse con un minor strato di vernice, in grado di lasciare maggior porosità al legno permettendo a questo di essere più libero di vibrare grazie al minor numero di “maglie chimiche”.

Attualmente la produzione Ferrarotti vanta 6 modelli e 3 varianti “natural” (open pore):

- UnoEnne Tre Quarti (chitarra da studio adatta anche ai più piccoli)

- UnoEnne

- DueBis (anche con tavola in cedro)

- Manola

- Gemma

- Concerto

Rigorosamente citate in ordine di prestigio e qualità.


Il prossimo futuro

Come anticipato, Ferrarotti investirà molto nel prossimo futuro sulla qualità e sulla diversificazione degli strumenti, portando maggiore attenzione verso la fascia intermedia, mantenendo la barra dritta su quel delicato equilibrio tra l’intransigenza della qualità italiana e i prezzi dell’attuale mercato.

Tutto questo nonostante il fatto che alcune materie prime, nell’ultimo anno, abbiano avuto rincari che vanno dal 25 al 40 per cento.

Un fattore che di certo non aiuta il raggiungimento di molti risultati economici, ma che pare comunque impattare e piegarsi alla determinazione che traspare da Roberto Ferrarotti. Un uomo, ancor prima che un imprenditore, che ha ben chiaro il fatto che le sue creazioni siano dedicate a musicisti del presente e del futuro, che attraverso lo studio e la dedizione che la musica esige sanno comprendere il concetto di qualità.

 

La fabbrica Ferrarotti

Visitare la fabbrica Ferrarotti è un privilegio e contemporaneamente un viaggio in un passato recente. Sebbene Ferrarotti non sia un liutaio che produce gli strumenti singolarmente, non si ha l’impressione di muoversi in una fabbrica. Sicuramente non in quel contesto da “catena di montaggio” che potremmo immaginare. L’ambiente nel quale ci sentiamo immersi è un laboratorio di falegnameria, con sagome di chitarre impilate e strumenti di produzione (spesso autocostruiti) che danno il senso di un lavoro artigianale che è lì. Esiste. Resiste.

L’odore del legno è presente e regala sensazioni dalle quali troppo spesso ci allontaniamo. Sembra che regni il caos tipico dei luoghi di lavoro operosi, ma se si guarda meglio, con attenzione, nulla è in un posto diverso da quello in cui dovrebbe essere.

Impressionante la tecnica a fuoco con la quale si dà forma e si saldano le fasce delle chitarre. Il reparto verniciatura e le rastrelliere sulle quali vengono poste ad asciugare le chitarre sanno di storia, di logica, di presente e futuro.

Per chi scrive, camminare in quel laboratorio e essere guidato da chi lo ha creato, modificato e adattato ai cambiamenti del tempo, ha smesso fin da subito di essere un’esperienza professionale per tramutarsi in un’esperienza umana. Si fa fatica a cercare di non banalizzare, ma è stato un viaggio nel tempo.

(Una fase della lavorazione - Credit: Emmanuele Macaluso)

 

Oltre alla fabbrica

C’è un aspetto che colpisce quando si rientra in ufficio dopo aver visitato la fabbrica. A lato dell’esposizione, su una scaffalatura laterale ci sono strumenti più antichi. Si scopre che Ferrarotti affianca alla sua attività di produzione di chitarre quella di riparazione di strumenti a corde. Chiediamo il permesso, e ci viene concesso, di entrare in contatto con chitarre e mandolini che hanno un secolo di vita. Prodotti talvolta proprio dalla stessa Ferrarotti che, proprio grazie a questo lavoro di liuteria e riparazione, è riuscita a rientrare in possesso di alcuni strumenti della propria collezione. Veri e propri gioielli di legno, con intarsi e inserti in madreperla degni delle migliori liuterie.

 

Alcune considerazioni

Al termine di questo articolo, che potrebbe aver assunto talvolta le connotazioni del saggio breve, rimane la profonda ammirazione per un’azienda che è prima di ogni altra cosa l’insieme di una visione sul medio e lungo termine al quale purtoppo ci siamo disabituati. Una fabbrica che è una famiglia (nel vero senso della parola) e che attraverso quattro generazioni e più di cento anni ha attraversato la storia del nostro Paese e ha permesso a migliaia di musicisti di esprimersi. Credo che Ferrarotti rispecchi in toto quella cultura del “fare” e del “procedere” che hanno solo gli italiani.

Per questa ragione appare incomprensibile il fatto che si possano fare - soprattutto all’inizio della propria carriera musicale - delle scelte basate soltanto sulla velocità di un click. Al termine della nostra visita, durante la quale abbiamo anche avuto il piacere di conoscere il Sig. Luigi, papà di Roberto, non riusciamo a smettere di porci questa domanda: Perché comprare (a parità di przzo) degli strumenti di compensato dalla Cina, invece di prenderne uno di “legno vero” prodotto in Italia? Con le stesse tecniche artigianali (e qualitative) del secolo scorso tra l’altro!

Talvolta, si utilizza la retorica per semplificare un concetto o per portare chi ascolta ad una epifania o ad una convinzione di colui che parla. Questa volta invece, la domanda è reale. Concreta. Solida.

 

Emmanuele Macaluso

 

Nota di redazione

Desideriamo terminare questo lavoro con una piccola nota che crediamo sia dovuta. Nei confronti della famiglia Ferrarotti e del gentile lettore. La stesura di questo articolo, anche delle parti più entusiastiche, non è frutto di un lavoro redazionale e/o a pagamento da parte dell’azienda nei confronti di chi scrive.

La stesura di questo lavoro è il frutto del riconoscimento dell’autore nei confronti di un’azienda che si è guadagnata sul campo, e nel tempo, i meriti di cui diamo conto.

Una determinazione e una ricerca verso l’eccellenza artigiana che l’evoluzione socioculturale e economica stanno sbiadendo, e che crediamo di dover invece mantenere viva attraverso gli strumenti che abbiamo a disposizione.

Parlare di Ferrarotti, come di tutte le altre eccellenze della liuteria e della produzione di strumenti, attraverso i quali generazioni di artisti hanno condiviso bellezza attraverso la musica, rappresenta un dovere verso la collettività. Un dovere che vuole portare avanti nel tempo quelle eccellenze che hanno reso l’Italia uno dei riferimenti dell’arte nel mondo.

Il rischio - e ci verrà perdonata questa piccola riflessione personale - è che come succede in altri Paesi, si portino i turisti a visitare luoghi con storie millenarie, incapaci di creare arte successivamente.

Il contesto artistico e culturale italiano non può e non deve vivere solo sulla propria storia, poiché la freccia del tempo ci destina ad allontanarci da essa. Da noi stessi. Con il rischio di non comprendere chi siamo oggi perché abbiamo dimenticato cosa siamo stati ieri.

La redazione di questo articolo è il modesto contributo che sentiamo l’esigenza di dover apportare.