Il Teatro Regio di Torino ha proposto la versione originale e incompiuta di Puccini, in un equilibrio tra estetica e introspezione creato da Stefano Poda.
(Foto di scena – Credit: Andrea Macchia / Teatro Regio di Torino
Fonte: sito web Teatro Regio di Torino)
È una versione della Turandot di Giacomo Puccini che punta ad un apparente minimalismo quella che il Teatro Regio di Torino propone al suo pubblico per la stagione operistica 2022. Abbiamo avuto il piacere di vivere questa esperienza artistica durante la recita del 30 aprile.
Non possiamo che partire dall’interessante allestimento progettato da Stefano Poda, che ha firmato la regia, le scene, i costumi, la coreagrafia e le luci.
La scenografia è essenziale, di un bianco reso ancora più puro dalle luci, con la sola eccezione di alcuni momenti in cui queste dovevano sostenere la trama e le importanti esperienze visive che hanno più volte toccato alte vette iconografiche.
Oltre quell’ambiente bianco - l’interno di un cubo - sullo sfondo tre porte, dalle quali entravano e uscivano il corpo di ballo, attori, figuranti (quando questo non avveniva dai lati), un fondale che era una vera e propria arte. Oltre alle porte che facevano da fondale infatti, ha trovato posto un’installazione d’arte che vedeva “le vittime” che hanno preteso la mano di Turandot immortalate per sempre nel tentativo di uscire da quella parete. Un particolare visivo che ha ricordato il “quadro vivente” formato da corpi in movimento presente nel monologo finale del film “l’Avvocato del diavolo”.
Un allestimento metafisico, essenzialista anche nei colori appunto, che hanno giocato sul contrasto tra il bianco (dominante) e il nero. Un tocco di rosso in alcuni particolari e momenti ha creato il giusto richiamo al sangue.
Il corpo di ballo si è esibito nudo, coperto solo da un perizoma e da un bodypainting bianco, in un equilibrio ricercato di eleganza e richiami coreografici al mondo orientale.
Eleganza che si ritrovava anche nei costumi. Anche questi apparentemente semplici, con linee nette che hanno ricordato lo stile e la classe di Roberto Capucci.
Dal punto di vista visivo, la Turandot proposta da Poda, che aveva creato questo allestimento sempre per il Regio di Torino nel 2018, è un autentico strumento che pone l’osservatore nelle condizioni di prendere spunto da quello che vede per iniziare un viaggio introspettivo. Un impulso così forte nella sua apparente semplicità da semplificare questo concetto e renderlo immediato. Diretto.
Ha colpito la “licenza poetica” dei soldati cinesi vestiti con un forte richiamo al kendo giapponese. Ma la nettezza delle linee e la ricerca visiva complessiva era così netta, da rendere non dissonante l’inserimento di una componente così “disciplinata” come quella degli schermidori giapponesi, in una visione di oriente “allargata” che perde i suoi confini quando la geografia diventa interiore.
(Foto di scena – Credit: Andrea Macchia / Teatro Regio di Torino
Fonte: sito web Teatro Regio di Torino)
La Turandot andata in scena al Teatro Regio di Torino, ultima opera di Giacomo Puccini, che non riusci a terminarla a causa della sua prematura dipartita, va in scena appunto nella sua versione incompiuta. Quella che vede la fine alla morte di Liù, senza il finale scritto da Franco Alfano, così come venne diretta da Arturo Toscanini nella sua prima esecuzione del 1926.
Sul podio dell’Orchestra e del Coro del Teatro Regio il direttore Jordi Bernàcer, che ha diretto con autorevolezza l’opera per tutti e tre gli atti. Nel ruolo di Turandot il soprano svedese Ingela Brimberg, che ha dato una buona prova facendo ascoltare la potenza del suo strumento vocale. Potenza che in alcuni momenti è mancata al tenore georgiano Mikheil Sheshaberidze nel ruolo di Calaf. Il finale del “Nessun dorma” ha visto infatti un applauso partito in modo non convinto e che poi si è sviluppato nella platea, che è parso più frutto dell’uso e consuetudine del momento che la risposta diretta alla performance.
Intense e impeccabili le prove del soprano Giuliana Gandolfini nel ruolo di Liù e del basso Michele Pertusi nel ruolo di un perfetto Timur.
Hanno completato il cast (unico per tutte e sette le recite): il tenore Nicola Pamio (Altoum), il baritono Simone Del Savio (Ping), i tenori Manuel Pierattelli (Pang) e Alessandro Lanzi (Pong), il basso-baritono Adolfo Corrado (un mandarino).
Il Coro e il Coro di voci bianche del Teatro Regio sono stati istruiti rispettivamente da Andrea Secchi e Claudio Fenoglio.
Nel complesso, la Turandot presentata dal Regio di Torino sotto la regia di Stefano Poda e la conduzione di Jordi Bernàcer ha regalato al pubblico un prodotto culturale di livello e con un bell’equilibrio.
Emmanuele Macaluso
TURANDOT
Dramma lirico in tre atti e quattro quadri tratto dall’omonima fiaba
teatrale di Carlo Gozzi
Musica di Giacomo Puccini
Libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni
Turandot: Ingela Brimberg
Calaf: Mikheil Sheshaberidze
Liù: Giuliana Gianfaldoni
Timur: Michele Pertusi
Altoum: Nicola Pamio
Ping: Simone Del Savio
Pang: Manuel Pierattelli
Pong: Alessandro Lanzi
Un mandarino: Adolfo
Corrado
Il principe di Persia: Sabino
Gaita
Prima ancella: Pierina
Trivero
Seconda ancella: Manuela
Giacomini
Pu-Tin-Pao (danzatrice): Nicoletta
Cabassi
Orchestra, Coro e Coro
di voci bianche: Teatro Regio Torino
Direttore: Jordi Bernàcer
Maestro del coro: Andrea
Secchi
Maestro del Coro di voci bianche: Claudio
Fenoglio
Regia, scene, costumi,
coreografia e luci: Stefano Poda
Regista collaboratore: Paolo
Giani Cei
Direttore dell’allestimento: Antonio
Stallone
Allestimento: Teatro Regio Torino
(Foto di scena – Credit: Andrea Macchia / Teatro Regio di Torino
Fonte: sito web Teatro Regio di Torino)