Un mese fa ci lasciava Luigi Ferrarotti. Alfiere di terza generazione dell’ultima fabbrica di chitarre artigianali di questo Paese. Per la prima volta, da quando questo progetto è nato, viene dedicato un ricordo personale ad un uomo che abbiamo avuto il privilegio di incontrare e ritrarre. Ci perdonerà quindi il lettore se, per una volta, lasceremo da parte il linguaggio distaccato della divulgazione per entrare in quello dei ricordi personali.
(Nella foto Luigi Ferrarotti – su gentile concessione dell’Archivio Ferrarotti)
Conobbi Luigi nel marzo del 2022. Andai in azienda per comprare una chitarra Ferrarotti, per chiudere una sorta di “questione personale” che era iniziata nel 1986, quando con i risparmi del mio primo lavoretto, acquistai la mia prima chitarra (una Ferrarotti mod. UnoEnne 3/4), con la quale strimpellai per anni, e che - purtroppo - è andata perduta.
Decisi quindi di acquistare una “chitarra da grandi”, direttamente da coloro che le fabbricano. Nella mia città, dal momento che quest’ultima eccellenza condivide con me il codice di avviamento postale.
Incontrai Roberto Ferrarotti, con il quale instaurai subito un buon rapporto e che mi consigliò per il meglio. Provai tre chitarre, per poi scegliere una “Manola” su consiglio dello stesso Roberto, che oltre ad avere il suono più bello che abbia mai sentito, era un prototipo costruito in soli tre esemplari. Quando guardai nella cassa e vidi il talloncino incollato con la caratteristica Mole Antonelliana e il modello della chitarra, raccontai a Roberto la storia della mia UnoEnne e gli chiesi se fosse possibile incontrare chi l’aveva costruita.
Roberto sorrise e dallo showroom mi fece entrare nella fabbrica, dove incontrai Luigi con il suo affabile sorriso e le sue mani. Si, le sue mani. Mi colpirono subito.
Le guardai con discrezione a lungo, mentre padre e figlio mi raccontarono velocemente la storia della famiglia e dell’azienda. Una storia che coincide. Davanti a me avevo due generazioni che parlavano la stessa lingua e condividevano la stessa passione.
Chiesi (con un po’ di imbarazzo) di poter fare una foto con Luigi, perché in quel momento mi resi conto di aver imbracciato per ore una chitarra nata in quel luogo che sa di legno, da quelle mani che sanno di esperienza. Mi sentii emozionato, e dalla foto che tengo tra le mie cose più care, si percepisce.
Decisi quindi di tornare con il mio notes per raccogliere i ricordi di quella storia e scriverne un articolo, che ancora oggi risulta essere il più letto su Opificio della Musica.
Passai del tempo con Luigi e Roberto e guardai a lungo quelle mani. Un’intervista raccolta in una fabbrica che si era fermata e che si era lasciata guardare in tutto il suo fascino senza tempo.
Fu un’esperienza intima. Nell’era del virtuale, tutti i sensi vennero coinvolti in quell’ascolto. Luigi si lasciò andare a qualche aneddoto, e venni colpito dal fatto che più che della famiglia mi parlava di lavoro. Di cose fatte. Lo faceva con parole semplici e un’umiltà a cui non sono più abituato. La mia attenzione si spostò dalle chitarre agli arnesi di lavoro che lui stesso ha creato per semplificarsi il lavoro. Compresi una cosa in quel momento: quel posto non era solo un luogo di lavoro, ma una parte importante del suo mondo. Un mondo che ha plasmato e che creato a sua immagine. Difficile dividere ciò che è da ciò che ha fatto. In primis per lui.
Per conoscere la storia della famiglia dovetti rivolgermi a Roberto. Il più giovane. Luigi era preso da ciò che lo circondava, perché era lì che ha espresso il suo talento per una vita intera.
Scrissi l’articolo e ricordo l’accoglienza che ebbi quando tornai in fabbrica la volta successiva per salutare Luigi e Roberto. Luigi era entusiasta. Credo emozionato. Non ho mai percepito tanta gratitudine e umiltà fusi in un unico individuo.
Nacque un’amicizia che mi portò a piangere quando seppi della sua morte. Roberto mi scrisse un messaggio. Ricordo di aver avuto bisogno di prendermi del tempo prima di rispondere. Luigi è uno di quegli uomini che entra a far parte della tua vita con grazia, e solo in quel momento ho messo insieme i pezzi della mia esistenza che ho condiviso con lui. Misi a fuoco la mancanza del suo sorriso, della sua voce e di quelle mani che hanno lavorato tanto e che ti accoglievano in una stretta quando incontravano le tue.
Nelle scorse ore sono passato in azienda per salutare Roberto e avere un momento riservato per ricordare Luigi. Dopo pochi minuti, Roberto - con un po’ di imbarazzo - mi ha chiesto di congedarci per tornare al lavoro. Non l’ho mai visto così simile a suo padre come in quel momento. Ho sorriso. Per un attimo Luigi mi è mancato un po’ meno.
Sono tornato a casa e ho deciso di scrivere queste poche righe. Non un tributo retorico, ma una storia. Un piccolo racconto, di un piccolo pezzo di vita personale che possa diventare una piccola testimonianza che dia ragione della traccia che un uomo ha lasciato dietro di sé nel suo cammino.
Credo sia stata la cosa più difficile che abbia mai scritto. Forse non la più bella. Ma la più difficile. Ed eccola qui. Torneremo presto a parlare di musica con altri stili. Ma ora è il tempo del ricordo e della consapevolezza di aver avuto la fortuna di incontrare un uomo venuto da un altro tempo.
Un tempo diverso da questo, in cui sento il bisogno di abbracciare “Manola” e farle raccontare altre storie. Perché c’è chi va semplicemente via e chi rimane in ciò che ha fatto.
Luigi rimane.
Emmanuele Macaluso