venerdì 22 novembre 2024

MARKETING: JOE BONAMASSA PUBBLICA I NUMERI DEL SUO TOUR 2024

Il musicista statunitense ha reso pubblici i dati statistici relativi al suo tour 2024 attraverso un post sui suoi canali social. I numeri sono da capogiro.

(La foto del post originale di Joe Bonamassa)

Lo scorso 19 novembre, il chitarrista Joe Bonamassa ha pubblicato sui suoi canali social ufficiali (1-2) i dati statistici relativi al suo tour 2024. I numeri - forniti dal suo tour manager Clay Allen (aka @bixseytouring) - danno la possibilità di trarre qualche interessante spunto di riflessione circa la complessità organizzativa di un tour costruito attorno ad un artista di caratura internazionale e al suo entourage. Al di là di alcune statistiche “di colore” alcuni dati danno un’ottima prospettiva sul piano logistico e sull’efficacia del piano di marketing. 

Bonamassa, che è anche co-produttore di tutte le sue attività artistiche, promozionali e di marketing, dimostra come oggi un artista debba andare oltre la sola visione artistica e debba avere una visione d’insieme del proprio business musicale.


Di seguito i dati messi in ordine per area:

 

Logistica:

78.402 miglia viaggiate  (126.176 km)

3.905 notti prenotate in albergo

53.634 galloni di gasolio (203.027 litri)

342 aerei prenotati

3.740 pasti serviti

85 spettacoli

83 città visitate

9 stati visitati

3 continenti visitati

166 giorni di tour

 

Pubblico coinvolto:

232.415 biglietti venduti

 

Curiosità:

510 bacchette da batteria usate

2.016 corde di chitarra usate

3,14 volte percorso il giro del globo


Emmanuele Macaluso

 

(Fonte Joe Bonamassa / Clay Allen (aka @bixseytouring)

(1) https://www.facebook.com/100044438139286/posts/pfbid0BN1XFt8c1Zn8ZF851tGwrGGAUakzZwB2sxpGkmy8LXpCwkZirA4f3nYZQy9rHvsVl/?app=fbl

(2) https://www.instagram.com/p/DCkPijiyPMW/?igsh=MTh0Y3Z5c2ZjdDk5Mw%3D%3D

giovedì 21 novembre 2024

2009 - 2024: UN RICORDO PRIVATO DI GIORGIO GASLINI A 15 ANNI DALL’INCONTRO

L’articolo - in forma più approfondita - è stato pubblicato per la prima volta su Academia.edu (1) nel 2021 e viene pubblicato in versione ridotta anche su Opificio della Musica, con la volontà di offrire al lettore un ritratto intimo del compianto pianista Giorgio Gaslini.

(Giorgio Gaslini – Credits: CdT.Ch)

Introduzione:

Il saggio vuole raccontare l’incontro tra l’autore e il compianto M° Giorgio Gaslini, icona del jazz mondiale, avvenuto durante il concerto “Jazz in Blues” organizzato dal Comitato Giù le Mani dai Bambini Onlus in occasione della Giornata Mondiale dell’Infanzia delle Nazioni Unite 2009 presso l’Auditorium RAI “Arturo Toscanini” di Torino. L’autore condivide un ritratto intimo di Gaslini, avvenuto in un momento di pausa prima dell’esibizione. Un omaggio all’uomo, nella speranza di poter dare del maestro una visione meno nota e che esca dai confini del personaggio pubblico e delle pubblicazioni ufficiali.

 

L’incontro:

Spesso si dice che la musica sia un linguaggio universale. Ma io l’ho visto. Lo posso testimoniare. Dopo l’arrivo in auditorium del M° Giorgio Gaslini e di Emma Re, due persone che non si erano mai viste prima hanno dialogato. Non come fanno quelli che non hanno il dono di conoscere la musica al tavolino di un bar, dove prima devono conoscersi e trovare qualcosa in comune di cui disquisire.

Emma Re e Gaslini si sono incontrati per la prima volta sul palco. Si sono stretti la mano e hanno scambiato qualche parola di circostanza, attorniati da collaboratori, volontari e i musicisti di Emma.

Gaslini con un impeccabile doppiopetto grigio e una cravatta dai toni accesi sul rosa. Emma re con un bellissimo giubbotto di pelle nera sul quale il suo caschetto biondo si stagliava magnificamente quando appoggiava i gomiti sul pianoforte.

Poche parole, qualche sorriso e infine un titolo. Emma prende posto accanto al meraviglioso Steinway & Sons a coda nero e Gaslini si siede davanti alla tastiera. Il mondo sul quale le sue dita fanno tutto quello che possono fare per crearne altri.

La musica inizia, e anche se nessuno riesce a muoversi da quel palco scompaiono tutti e rimangono i due sconosciuti che iniziano a dialogare. Come se si conoscessero da tempo. Non da sempre, ma abbastanza da poter creare qualcosa che prende vita, che si erge in quel tempio della musica e si fonde. È il suono che prende i suoi spazi togliendone al brusio che scompare. Una voce meravigliosa si affianca e infine si fonde a quella che per essere udita passa attraverso uno strumento che pur enorme appare leggero.

Dal fondo della sala, in solitudine, guardavo questo spettacolo, come si guarda un quadro, nella speranza che il tempo si fermi e ti lasci apprezzare la bellezza di ogni singolo istante.

L’inizio dello spettacolo era previsto per le 20:45 e c’erano molte cose da fare. Compreso andare a recuperare una batteria per un membro della band di Emma.

Come un fantasma ho lasciato l’auditorium, cercando di non interrompere quel momento così intenso.

Al mio rientro, un’ora e mezza dopo, sul palco il pianoforte a coda sembrava una portaerei pronta a salpare. Dal soffitto, decine di microfoni appesi a cavature d’acciaio erano pronti a catturare ogni nota. C’era una strana calma che non avevo notato fino a quel momento in quel luogo.

Cercando di rendere la mia presenza molto discreta, mi sono riportato verso il backstage, per controllare lo stato di avanzamento dell’organizzazione e valutare le necessità degli artisti. Il camerino della band di Emma era aperto e i musicisti chiacchieravano tra loro. Sono rimasto qualche secondo a guardarli in attesa di qualche eventuale richiesta. Tutto sotto controllo.

Il camerino di Emma era chiuso. Decisi di non bussare, tanto sarei rimasto in zona nel caso ci fosse stata necessità.

Il camerino di Giorgio Gaslini era aperto. Le pareti di un giallo paglierino facevano contrasto con la giacca di scena del Maestro che era appesa su una stampella, a sua volta ancorata ad un attaccapanni da muro.  Una giacca in velluto verde scuro, che avrei scoperto dopo, creava effetti straordinari quando veniva colpita dalla luce dei riflettori. Anche questo è mestiere…

Giorgio Gaslini era seduto con eleganza su una sedia del camerino, a pochi centimetri dal tavolo su cui aveva appoggiato un cameo che avrebbe usato, al posto della cravatta, per chiudere il colletto dell’impeccabile camicia bianca che era ben distesa su un’altra stampella.

Rimasi sulla porta, con un sorriso imbarazzato, di fronte ad un gigante della musica, con l’obiettivo di rendere il dono della sua presenza in quel luogo il più confortevole possibile.

Mi fece cenno di entrare e io avanzai di qualche passo rimanendo in attesa di indicazioni.

«Non ricordo il tuo nome, mi devi perdonare», mi disse con un’eleganza e un’autorevolezza che mi intimidì.  Non ebbi il tempo di rispondere. Mi guardò negli occhi attraverso i suoi occhiali dalla montatura minimalista e mi disse:«Facciamo due chiacchere. Ti piace la musica?»

«Ecco… sono fregato!» Dissi tra me e me, rispolverando le sensazioni tipiche dell’allievo all’interrogazione della materia più odiata. Giorgio Gaslini chiede a me se mi piace la musica. Sia ben chiaro, a me la musica piace moltissimo e, nel mio piccolo, cerco di comprenderla e indagarla; ma di fronte ad un titano, anche uno alto quasi due metri si sente minuscolo. Fu così che risposi, dicendo che la musica mi piace molto e che occupa un posto molto importante per me, anche se non ho avuto la possibilità di studiarla.

«Che musica ascolti?» mi chiese.

«Sono cresciuto ascoltando musica rock. Bon Jovi, Def Leppard, Rolling Stones…».

Immaginavo la delusione creata da una risposta del genere data ad un jazzista, pur tenendo conto della differenza culturale e di età tra i due soggetti coinvolti in quella discussione. Obiettivamente non si può certamente dire che si possa paragonare la raffinatezza di certe improvvisazioni jazz con le canzoni dei gruppi citati.

A quel punto sul suo volto serio apparve un accenno di sorriso seguito da un «La musica è musica. È ritmo, melodia e armonia, e lì ce n’è molta».

Continuò con una frase che ricordo ancora perfettamente: «La musica conta molto, perché la musica contiene il colore – il timbro – con tutte le sue sfumature. Contiene il fraseggio (quindi la melodia fraseggiata), contiene l’armonia (ovvero più parti armoniche insieme) e contiene soprattutto il ritmo. Tutta questa cosa musicale non ha vita se non c’è una struttura ritmica alla base, che può essere tesa o sottintesa.  Il ritmo è la base della comunicazione».

Fu a questo punto che mi resi conto che io e lui stavamo comunicando. Io che di comunicazione mi occupavo da anni mi sono lasciato dire da un musicista che stavamo comunicando.

In quel momento i confini tra le nostre aree di competenza erano crollati. Liquefatti.

Due sconosciuti stavano comunicando parlando di musica. Perché la musica non è fatta solo di note, battute e linguaggi specifici. Va oltre, trascende in virtù del fatto che fa parte della natura umana e del suo senso comunitario e collettivo. E in quella stanza esisteva una collettività formata da due persone pronte a incontrarsi e ascoltarsi, e quindi c’era la musica.

Quasi come se riuscisse a ascoltare questo mio pensiero continuò il suo discorso: «La musica può, attraverso la ritualità della melodia - armonia - ritmo, coinvolgere quasi in una cosa tribale, è una cosa che facciamo fin da bambini».

Feci un cenno di assenso con la testa mentre rielaboravo la profondità di quel concetto.

Guardai il Maestro negli occhi è gli dissi quanto fosse importante per me aver sentito quelle parole proprio alla vigilia di un evento dedicato ai bambini. Mi permisi di chiedergli se aveva iniziato a suonare molto presto e perché proprio il jazz.

Lui mi rispose:«Ero molto piccolo e la musica era presente in casa. Avevo un fratello di tre anni più grande che suonava il pianoforte. La prima volta che toccai i tasti del pianoforte sentii quasi un effetto di risonanza in me e capii che quello era il mio strumento. A dire il vero rompevo un po’ le scatole a mio fratello, perché riconoscevo le note e qualche piccolo errore che lui commetteva, facendolo notare. Andai da mio padre chiedendogli di frequentare delle lezioni di pianoforte. Mio padre era un uomo di cultura autorevole ma mai autoritario. Era anzi molto rispettoso e mi guardò chiedendomi se fosse una cosa seria. Io risposi di sì. Partì tutto da lì. La mia infanzia si divise tra studio e gioco. A 9 anni mi sono esibito per la prima volta in pubblico.

Mio padre era un africanista, visse 10 anni in Africa. In casa avevamo quadri, strumenti musicali e oggetti d’arte oltre, ovviamente, a supporti con la musica africana. Io studiavo Beethoven e contemporaneamente provavo a fare le improvvisazioni tipiche della musica africana.

Quando avevo 12 anni qualcuno venne da me e mi disse che “Quella roba lì che facevo si chiama jazz!”. E io ho continuato a farla quella roba lì».

Fu un momento veramente intimo, in cui un uomo di ottanta anni parlava con una persona della quale non sapeva neppure il nome della sua infanzia. Della sua famiglia. Di quella cosa chiamata musica che lo ha guidato per tutta la sua esistenza.

Purtroppo quel momento stava giungendo al termine. Un mio collaboratore mi venne a chiamare per risolvere uno di quei problemi dell’ultimo minuto tipico degli eventi. Mi alzai dalla sedia sulla quale il Maestro mi fece cenno di sedermi qualche minuto prima e con un’espressione del volto gli chiesi il permesso di congedarmi.

Lui sorrise, cosa che credo non gli venisse troppo naturale, e mi chiese:«Ma come ti chiami?»

«Emmanuele, con 2 “m”», risposi.

«Ah, nome biblico. Ora so con chi ho parlato così a lungo di me».

All’unisono, come al suono di una battuta che abbiamo sentito solo noi abbiamo fatto un cenno di saluto abbassando il capo.

Ma io mi sentii in dovere di salutarlo anche con la voce:«Grazie Maestro».

 

Emmanuele Macaluso

 

(1) https://www.academia.edu/60565096/Incontro_con_Giorgio_Gaslini_Un_ricordo_personale_di_Emmanuele_Macaluso